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MENO TABLET, PIÙ MAGIA

I BAMBINI E IL GIOCO IN TRENTINO. ABBIAMO PROVATO AD INDAGARE TRA GLI ESPERTI DEL SETTORE LUDICO, DOMANDANDO QUALI SONO GLI INGREDIENTI PER OTTENERE UN “BAMBINO FELICE”. CON IL CLOWN RICO BELLO E MAGO DADO CERCHIAMO DI CAPIRE QUANTO SONO CAMBIATI I BAMBINI DOPO LA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA. LA PEDAGOGISTA ORNELLA DE SANCTIS AVVERTE: «I VIDEOGIOCHI SONO COME LE DROGHE»

Anche il Trentino è stato teatro, negli ultimi quindici anni, di una vera e propria “rivoluzione” dell’infanzia. È avvenuto lo stravolgimento radicale di ciò che significa essere bambini. L’arrivo di Internet in ogni casa, la moltiplicazione dell’offerta televisiva, la marginalizzazione dei prodotti cartacei sono stati i tratti principali di questa rivoluzione.
Conosciamo il problema dei bambini parcheggiati davanti alle tv, sui tablet, manipolati dalla pubblicità che pervade ogni media, ipnotizzati dai videogiochi. Questo crinale, che sembra catturarli inesorabile, compromette la loro capacità di meravigliarsi di fronte ad un piccolo trucco di magia accuratamente studiato e preparato: consumatori passivi di prodotti scadenti, si cibano di internet come fonte infinita di informazioni e lo usano senza un senso del limite. Ed in questo i bambini d’oggi assomigliano in tutto e per tutto ai loro genitori, agli adulti, troppo spesso incapaci di creare piccoli umani che un giorno dovranno essere autonomi e felici.
Abbiamo interpellato due professionisti che fanno dell’intrattenimento dell’infanzia in Trentino la loro occupazione quotidiana, facendo scoprire ai loro spettatori, come attraverso una scintilla, la bellezza senza tempo di un gesto magico o di una filastrocca. Sono Enrico Santini (alias clown “Rico Bello”) e Corrado Giannattasio (alias “Mago Dado”), impegnati in prima linea per continuare a presidiare il regno della “magia” dalle incursioni della tecnologia. Abbiamo poi interpellato Ornella De Sanctis, pedagogista e giudice al Tribunale dei Minori di Trento, che lancia l’allarme: «La tecnologia compromette l’immaginazione dei bambini».

RICO BELLO: «LA TECNOLOGIA RENDE MALEDUCATI»
Enrico Santini, meglio conosciuto come clown “Rico Bello”, è un veterano dell’intrattenimento per l’infanzia nel territorio trentino. Classe 1942, ha iniziato a calcare il palcoscenico nel 1959, prima nelle filodrammatiche, poi come presentatore e intrattenitore assieme al duo “Gegè-Martinez”, poi, dopo lo scioglimento del gruppo nel 1988, come clown. Davanti ai suoi occhi sono passate diverse generazioni di bambini trentini e molti, anche da grandi, si ricordano di lui. Enrico conferma il suo “impatto”: «Mi capita di incrociare degli uomini adulti, con i loro bambini per mano, che mi dicono: “Mi ricordo ancora della filastrocca, “Io sono Rico Bello, con la faccia da cammello…” È ancora oggi il modo con cui mi presento alle feste». I suoi inizi nei primi anni Sessanta raccontano di un Trentino profondamente diverso. Enrico fa vivere i ricordi: «All’epoca la televisione era poco diffusa e la gente riempiva i teatri. Era l’epoca d’oro dei circhi familiari, dove andavamo a “rubare” spunti e idee per le scenette». Quando a fine anni Ottanta iniziò a vestire la maschera del clown, Enrico si trovò di fronte una generazione nuova, quella dei bambini cresciuti con “Mazinga”, “Barbie”, “Big Jim” e le “Tartarughe ninja”, dove il modello dell’intrattenimento per l’infanzia era dettato dai fenomeni televisivi: «Acquistavo le musicassette e i cd con le sigle dei cartoni, per far ballare e cantare i bambini. Infarcivo i miei numeri con giochi di prestigio e confezionavo sculture di palloncini: sono arrivato a riuscire a realizzare oltre 100 forme diverse. Ancora oggi i palloncini sono sempre graditissimi». Nel corso dei decenni successivi che portano all’oggi, la scena della clowneria e dell’intrattenimento per l’infanzia è mutata profondamente. Con animo pungente, Enrico commenta: «All’epoca, eravamo in cinque a proporre questa formula, oggi siamo in trenta. Sembra che basti vestirsi con un naso rosso e fare le bolle di sapone per definirsi un “clown”». C’è poi il fenomeno dei “trucca-bimbi”, invitati alle feste per decorare i visi dei bambini con forme e colori, verso i quali Enrico non sembra nutrire particolare simpatia: «Il clown deve far ridere. Deve avere un repertorio di battute e saper improvvisare. Alcuni grandi clown non avevano nemmeno bisogno di truccarsi: pensiamo a Stanlio e Ollio o Buster Keaton». Insomma, non è il trucco dipinto in faccia a fare un clown. Contemporaneamente è mutata profondamente la capacità dei bambini di usare la loro fantasia: è questo l’aspetto che rammarica maggiormente Enrico. «La capacità dei bambini di immaginare un mondo fantastico – spiega – è stata danneggiata da televisione e tablet. C’è sempre il più grandicello che viene a disturbare il numero, perché l’ha già visto su internet». La tecnologia ha contribuito, secondo Enrico, a cambiare in peggio i comportamenti dei bambini trentini: «Una volta c’era più rispetto dell’adulto, una sorta di “timore” ad accostarsi all’intrattenitore e soprattutto c’era più curiosità. Oggi la soglia di attenzione di un bambino si è drasticamente ridotta: tenerlo incollato sul tuo numero per un’ora richiede un miracolo». Esistono ancora, tuttavia, i bambini curiosi, che magari si avvicinano al clown non per rovinargli lo spettacolo, ma perché ne sono genuinamente intrigati: «Succede ancora, per fortuna. A questi bambini, rivelo qualche trucco. Il problema è che oggi i bambini sono subissati da una marea di informazioni, sono frastornati». E, con tutte queste informazioni, si riduce lo spazio per restare meravigliati. Enrico Santini dà un consiglio agli adulti: «Giocate con i vostri bambini, disegnate insieme a loro, non parcheggiateli davanti alla tv e non demandate tutto alla scuola. Le maestre oggigiorno sono molto preparate, ma non possono fare miracoli quando la famiglia non stimola l’immaginazione». Enrico illustra una fotografia molto eloquente per definire il modo di fare dei bambini d’oggi: «Quando li metto in fila per regalare loro un palloncino a forma di spada, giraffa, ecc, solo uno su venti dice “grazie”. Quando questo accade dico ad alta voce: “Fermi tutti! Sapete cosa ha appena detto questo bambino? Una cosa incredibile! Ha detto “grazie…” Questo li fa ridere e li responsabilizza!»

MAGO DADO: «INCANTARE I BAMBINI È SEMPRE PIÙ DIFFICILE»
Mago Dado, all’anagrafe Corrado Giannattasio, è un prestigiatore tra i più attivi nel panorama trentino, grazie ad un’agenda fitta di feste di compleanno, matrimoni e feste aziendali. È tuttavia centrale nella sua attività professionale il contatto ravvicinato con i bambini, in particolare prima che scatti la fatidica adolescenza. Corrado conferma la sensazione che intrattenere i bambini di oggi con la prestidigitazione sia molto più difficile rispetto al passato: «Vedono i giochi su internet, si informano e credono, magari in maniera erronea, di conoscere i trucchi e qualche volta di essere capaci di replicarli». Qui sta l’abilità del prestigiatore, sottolinea Corrado: «Serve tanta esperienza, per poterli sorprendere con un trucco che non si aspettano. In generale è però molto difficile far credere ai bambini alla vera e propria “magia”». Un tempo, riflette il prestigiatore, intrattenere i bambini era la sfida più grande perché, se un adulto sa di essere di fronte ad un trucco, per il bambino il gesto dell’illusionista era autentica “magia”, un mistero capace di sbalordire: «Il senso della magia cresce anche con la pratica “attiva” del bambino, che si inventa un piccolo gioco, che magari noi adulti intuiamo subito, ma che comunque è un esercizio d’intelligenza per i più piccoli. Oggi al contrario, si limitano a replicare quello che vedono online. Sono esercizi standard a cui Internet ha tolto ogni personalità». Un altro elemento di criticità, per Corrado, sta nelle cosiddette “scatole di magia” spesso sponsorizzate da maghi famosi grazie alla tv: «Ho visto in alcune “scatole” giochi molto complicati, magari da fare con le carte o che richiedono capacità “illusionistiche” superiori. Non sono adatte ai bambini, perché non favoriscono una crescita personale. Per questo non aprirei un negozio di magia a Trento, il rischio è promuovere una cultura illusionistica “standardizzata”. Togli il bello della scoperta ad un bambino, lo fai per vendere e non semini niente». Quando veste i panni di “Mago Dado”, Corrado ha una “politica” particolare, cerca di non dare subito confidenza ai bambini, non prima dello spettacolo: «Dare confidenza ai bambini è un’arma a doppio taglio, perché ti consente di entrare in sintonia con il tuo pubblico, di ispirare simpatia e di “prepararli” in qualche modo. Ma contemporaneamente, la confidenza permette a quelli più “sfacciati” di interagire con il mago in maniera più spudorata, con il rischio di compromettere lo spettacolo per tutti. Questo vale soprattutto per i bambini più grandi: con quelli più piccolini, farsi voler bene prima dello spettacolo in generale è una buona idea, per evitare di spaventarli o confonderli troppo». È importante, sottolinea Corrado, avere un buon controllo dello spettacolo ed avere un repertorio adatto a varie fasce d’età: «Quando vado a fare spettacoli alle scuole materne, le maestre si complimentano perché faccio magie idonee per l’età dei miei spettatori. Lo stesso vale quando sono più grandi: ho avuto grandi soddisfazioni anche con i ragazzi adolescenti, magari attorno ai 14 anni, e questo mi ha piacevolmente sorpreso. È un’età, quella, in cui è importante imparare a stupire per facilitare le relazioni sociali».

ORNELLA DE SANCTIS: «LO DICONO LE NEUROSCIENZE, LA TECNOLOGIA COMPROMETTE L’IMMAGINAZIONE»
Ornella De Sanctis è una pedagogista specializzata nell’età dello sviluppo, nell’arte-terapia, giudice presso il Tribunale dei Minori di Trento. Ha al suo attivo la pubblicazione di diversi studi, tra cui il saggio “L’educazione e il moderno”, edito da Liguori. La sua è una voce autorevole e desta preoccupazione quando afferma: «La tecnologia ha un effetto distruttivo sulla fantasia e sulla creatività dei bambini, in particolare nella fascia d’età 0-5 anni: queste capacità vengono compromesse. È ormai un dato acquisito e confermato anche dalle neuroscienze». La dottoressa De Sanctis rintraccia la responsabilità di questo declino critico nelle capacità immaginative che dovrebbero caratterizzare l’infanzia, nell’incapacità dei familiari di opporsi alle mode tecnologiche del momento: «Occorre la capacità di dire dei “no” e ciò è dovuto alla mancanza di consapevolezza dei danni che questi strumenti possono generare. Come genitori, non dobbiamo avere timore solo che i nostri figli assumeranno sostanze stupefacenti, perché queste sono droghe tecnologiche». Gli adulti, secondo De Sanctis, mettono in mano ai bambini degli strumenti potentissimi che nemmeno gli stessi adulti sanno gestire: «Nasce da qui il fenomeno del cyberbullismo. Noto che nei gruppi chat tra bambini delle elementari si utilizza un “plus” di cattiveria nei confronti degli altri, con parole che probabilmente non esprimerebbero in un confronto diretto e personale». La vittima del cyberbullismo non è percepita come reale, ma sono reali le conseguenze sulla salute del bambino, spiega la pedagogista: «È un analfabetismo emozionale; se non ti abitui a litigare, a gestire i conflitti, poi in adolescenza si genera un isolamento e si creano adulti sofferenti». La mente va al fenomeno degli hikikomori, gli adolescenti giapponesi che vivono in completo isolamento, chiusi nella loro stanza e collegati al mondo via web: «Non è un fenomeno solo giapponese, gli hikikomori esistono anche in Trentino – sottolinea De Sanctis – e sono finiti all’attenzione della Procura della Repubblica». De Sanctis non sottovaluta poi il rischio che i bambini vengano “contattati” da persone disturbate proprio attraverso i social network e le piattaforme di gioco online: «È accaduto che i minori venissero adescati attraverso Candy Crush, gioco amato dai più piccoli. L’uomo nero esiste e può utilizzare quegli strumenti». Sono proprio queste piattaforme di gioco online che sollevano i maggiori interrogativi, perché la loro struttura, a livelli “bloccati”, fa in modo che i bambini siano prigionieri del gioco, perché la loro mente torna sempre lì. Un nuovo livello significa nuove funzioni sbloccate, nuove “endorfine” emesse in un turbinio di suoni e colori, in una logica che è davvero simile a quella delle droghe. Senza contare che le aziende produttrici di questi giochi online studiano metodi sempre nuovi per tener catturata l’attenzione. De Sanctis mette in evidenza come questa problematica sia insita nei videogiochi: «Il videogioco manovra e gestisce la realtà di un bambino. Per questo il bambino che si trova di fronte al clown gli strappa di mano il trucco magico. Gli strumenti tecnologici e videoludici tendono a essere “la realtà” dei bambini, annichilendo la possibilità di meravigliarsi di fronte ad un piccolo trucco magico». Su questo, De Sanctis manda un allarme all’indirizzo dei genitori: «I bambini non devono sempre “fare qualcosa”. Anche durante l’infanzia c’è un tempo in cui si può guardare il soffitto. Imparare a gestire la noia è essenziale per poter essere autonomi da grandi». La pedagogista esprime anche perplessità sulla possibilità di un “Internet per bambini”, ovvero quelle versioni edulcorate del web che passano attraverso il “parental control” (che i bambini possono imparare piuttosto in fretta ad aggirare) o attraverso portali specifici dedicati all’infanzia: «L’uso monitorato di Internet può essere visto favorevolmente se permette di trovare delle immagini per una ricerca scolastica o per soddisfare qualche legittima curiosità personale. Ma credo che comunque siano scorciatoie cognitive. Occorre saper usare un dizionario o un’enciclopedia, non tanto perché lì si trovino le informazioni, ma perché formano un metodo per la conoscenza». Insomma, le enciclopedie, relegate ormai nel passato dell’editoria, in questa luce appaiono come imprescindibili strumenti per il domani.